Di tutte le vicissitudini che mi sono fin'ora capitate questa è di gran lunga la più assurda ed improbabile. Poco tempo fa, mentre mi districavo tra pensieri sul copyright e sull'editoria, suonarono alla porta della mia umile casetta. L'inatteso visitatore si rivelò essere un vecchio monaco amanuense venuto a passare i suoi ultimi inverni presso di me. Colto alla sprovvista non seppi come obiettare a tale pretesa e di lì a poco tempo le mie stanze si riempirono di curvi monaci scriventi. Ora, sebbene io abbia consapevolezza che queste austere figure probabilmente non siano altro che un parto della mia mente, tuttavia mi riterrei ugualmente sgarbato a suggerire loro di tornare nella loro non esistenza. Perciò mi ritrovo, miei cari amici, nella spiacevole situazione di chi per vedere la TV sul divano la sera deve concordare il programma con un'intero monastero.

martedì 8 settembre 2009

Ci si sposta!

La casa di riposo chiude, miei giovani lettori.
La casa di riposo chiude, miei vecchi lettori.
Ora non resta che navigare mestamente per mari d'asfalto attirati da una luce al neon. Che voi possiate sognare porti in festa, mete ambite, orchestre celebranti il vostro arrivo. Ma il silenzio caratterizza il nostro viaggio e a niente potranno servire poche parole pronunciate da labbra tinte di blu. Ma se volete ascoltarle, qui, con me, al bluelips bar, eccovi la via: http://bluelipsbar.blogspot.com/

mercoledì 8 aprile 2009

Barricate. Una storia.

(nuova versione)

Quel rumore metallico mi suggeriva che le protezioni del mio letto si stavano alzando. E' stato allora che, tirando i lacci che mi legavano le mani, mi sono girato sul fianco sinistro e mi sono messo a osservare la camera attraverso le sbarre. Vedevo l'infermiera contenta: “ha aperto gli occhi”. Vedevo gli altri pazienti, gente come me. Vedevo il bicchiere di acqua sul mio comodino e quei fiori, rossi, bellissimi, accanto al mio vicino. Stavo indossando occhiali scuri per vedere il sole. E, con mio grande stupore, mi sono ritrovato a non soffrire. Quel letto non era la mia prigione, ma una barricata innalzata per difendermi dal mondo ostile che mi circondava. Lì nessuno mi poteva toccare e potevo resistere ancora per molti anni. Ero nel mio lettino, bambino, in piedi per la prima volta serravo forte i pugnetti intorno alle aste di legno. Barricate. Io solamente protetto nella mia terra, il resto fuori. E se potevo con la mia immaginazione trasformare il freddo metallo di quelle sbarre nel caldo legno verniciato di rosso del mio lettino d'infanzia, sarei riuscito a dar colore anche a tutto il resto. E schierare forse nuovamente il mio esercito di pupazzetti e soldatini di fronte a me, pronto a difendermi dalle feroci invasioni dei barbari. E le variopinte e inadeguate barricate di tasselli di lego. E poi bianche, di cuscini su cuscini. Quel muro a Berlino. E la buia tenda dentro la quale mi riparavo quando i miei genitori litigavano. E il ricordo di loro...dopo ogni discussione si chiudevano in camera e io pian pianino potevo uscire dal mio nascondiglio e dirigermi verso essa, accucciarmi dietro la porta e, fucile ed elmetto, provare a sbirciare il nemico dal buco della serratura.

Anni dopo mia moglie si alzava le lenzuola per coprire il suo seno nudo, per pudore, per difenderlo dalla mia vista. Io con i piedi cercavo di spostare quelle coperte, fino a quando lei, scocciata, non le afferrava strette con entrambe le mani per strattonarle fin sopra la testa. E girarsi, nascosta, ma vicina. Poi la sentivo bussare alla porta del mio studio e le dicevo di lasciare la colazione fuori: stavo lavorando, non potevo essere disturbato. Scrivevo romanzi e saggi dicendo che se le persone intorno a noi stavano bene, noi stavamo bene. Che gli altri erano come me, che siamo tutti simili. Marciavo. E mi soffermavo ad ascoltare i passi di mia moglie allontanarsi dallo studio, sognando di essere oltre quella porta, ma ben sapendo di non poterci essere: il mio compito era lì.

Quanto han retto quelle forti mura prima di crollare! Ho venduto la mia casa quando lei se n'è andata. L'ho venduta con i miei libri, le mie foto, quei rossi simboli di una fede che stava crollando. E nudo sono rimasto a vagare per la terra che più non mi apparteneva. Lo zaino pesava e lo sguardo della gente... furono vite trascorse, quando la sera morivo. Prigioni senza sbarre fatte di deserti e strade e macchine e persone tutte uguali. Presto il mondo divenne la mia casa e, nella mia casa, c'erano troppe persone. Alcune mi fissavano giudicanti, insopportabile, altre mi ignoravano, insopportabile, altre ancora mi volevano bene. E io non riuscivo a sopportarle. Egoisti, miopi, piccoli uomini. Avidi. Tutti assetati di potere. Ho tentato di dissolvermi, farmi sabbia nei deserti che attraversavo e così, finalmente, più non soffrire. Ricordo che mentre morivo non ho potuto fare a meno di ridere vedendo che un rosso flusso stava uscendo dal mio corpo.

Questa mia ultima vita è iniziata con un rumore metallico, le protezioni del mio letto si stavano alzando. E io vedevo gente come me dentro le mura di quella stanza. Quando, dopo diverso tempo, mi sono alzato dal letto, sono andato a sbirciare attraverso la porta socchiusa. E poi lunghi pomeriggi alla finestra che dava sul giardino. Tutti i giorni alle cinque in punto passava davanti al cancello dell'ospedale una ragazza bellissima.