Di tutte le vicissitudini che mi sono fin'ora capitate questa è di gran lunga la più assurda ed improbabile. Poco tempo fa, mentre mi districavo tra pensieri sul copyright e sull'editoria, suonarono alla porta della mia umile casetta. L'inatteso visitatore si rivelò essere un vecchio monaco amanuense venuto a passare i suoi ultimi inverni presso di me. Colto alla sprovvista non seppi come obiettare a tale pretesa e di lì a poco tempo le mie stanze si riempirono di curvi monaci scriventi. Ora, sebbene io abbia consapevolezza che queste austere figure probabilmente non siano altro che un parto della mia mente, tuttavia mi riterrei ugualmente sgarbato a suggerire loro di tornare nella loro non esistenza. Perciò mi ritrovo, miei cari amici, nella spiacevole situazione di chi per vedere la TV sul divano la sera deve concordare il programma con un'intero monastero.

sabato 19 aprile 2008

Polvere alla polvere /3

Un giorno ti svegli di buono umore, sei giovane, hai tutta la vita davanti. Pensi: chi se ne fotte di tutti, di tutte, chi se ne fotte. Poi la giornata scorre liscia, magnifica, dei cazzo di binari, perché ti va veramente tutto bene e sorridi, sorridi che è un piacere. E' perfetto, voglio che la mia vita duri per sempre e voglio mostrare al mondo che sono degli stupidi, tutti, piccola gente, davvero. Apro verso le cinque l'armadietto dei liquori in cerca di un porto e ci trovo solo del Sandeman. Ed ecco l'occasione per dimostrare quanto è semplice la vita. Mi vesto, riempo il portafoglio dalla cassaforte, prendo la macchina, ci butto dentro il navigatore e parto. Al primo autogrill panino e guardo il tizio dietro il bancone dall'alto in basso: te non sai cosa sto facendo. Scrivere sul navigatore “Porto, Portogallo” è poi un orgasmo, cazzo, tutto perfetto: tre giorni di viaggio andata e tre giorni ritorno. “E' un po' che non ti si vede” “Eh sì, sai, avevo voglia di un buon bicchiere di porto e sono andato in Portogallo”. La vita potrebbe anche finire qui. Ma per il signor M., abbiamo ormai imparato, c'è il dopo. A volte gli sembrava di essere una di quelle commedie Hollywoodiane con un primo tempo tutto battute e gag brillanti e un secondo tempo pieno di noia, moralismi, trama già vista e finale da spararsi nei coglioni. C'è il secondo tempo, quello delle tre casse di Rozes caricate in macchina e tenute ad invecchiare per vent'anni. “Così quando avrò ospiti di riguardo saprò cosa offrire loro”. Era vent'anni fa, il maggiordomo sorrideva felice e sembrava che tutto potesse andare nel modo migliore. Vent'anni... Erano tutti giovani, tutti futuri poeti. Il signor M leggeva Rimbaud, Matteo era nato da poco e quel signore che gli sta puntando la pistola alla nuca si diplomava con il massimo dei voti in legge. Ora, ora è sufficiente recarsi in cantina, tirare un'occhiata a quelle due casse, ancora chiuse, ancora, mai sistemate negli scaffali, e quelle bottiglie, quella polvere...

- E' il richiamo della polvere. Non ci può fare niente, ci chiama e un giorno lei deciderà di seguirlo. Nel mentre può smettere di tremare, sta rovesciando il porto-
-Oh, mi scusi, è molto buono, io...-
-Lasci stare. Mi dica piuttosto dove si nasconde-
Ingente quantità di denaro...Genova...tunica...buffo, chiacchiere.
-Ma lo vada ad eliminare, lo faccia lei, io non me la sento, in quella città ho fin troppi ricordi. Verrà ricompensato a dovere, a tempo debito, a lavoro fatto, più in là. Quando Jack sarà morto lei avrà i suoi soldi-
-Ma io...veramente...io...-
-Lei?-
-Io non posso...-
-Non è mia abitudine far svolgere il lavoro ad altri, come lei forse saprà. Provo un certo piacere nel tagliare la gola a chi parla troppo. Mi piace proprio, sa? Godo. Mi viene così duro che poi mi devo masturbare davanti al corpo morente del malcapitato. Faccio una piccola incisione al centro, nella trachea, e il sangue esce lentamente. Ha mai visto una persona con le corde vocali recise provare ad urlare per chiedere disperatamente aiuto? E' uno spettacolo, glielo assicuro. “Ghhhh! Ghhhh!” Urla bastardo! Chiedimi di smetterla! Chiedimi perdono! Urla! “Ghhhh! Ghhhh!”. Ah ah ah ah! Senza la voce un uomo non è niente. Si è mai chiesto perché soffriamo nell'ascoltare il lamento di un uccellino ferito e non proviamo nessun moto di compassione nel vedere un pesce squartato vivo? Senza la voce una donna non è più niente!”-

Cade il bicchiere dalle mani tremolanti del suo interlocutore. I vetri schizzano in tutte le direzioni e una macchia di porto si allarga sul tappeto rotondo sotto i loro piedi.


-Mi dia una cassa del vostro miglior porto. Anzi, facciamo due. No, al diavolo, me ne dia tre. Oggi è una gran giornata e voglio che venga ricordata a lungo.-

giovedì 3 aprile 2008

Polvere alla polvere /2

E c'è anche da tenere presente che lui, il signor M, questa vita, in fin dei conti, non l'ha mai voluta fare. E ti capita anche di svegliarti stanco, distrutto, ubriaco, la sera prima, neanche la ricordo. Ti capita, trascini le gambe fino allo specchio in bagno e cerchi di mettere a fuoco. Hai la camicia del giorno prima, la barba da fare. E ti piaci: bello, dannato. Sì, ce l'ho con te, non c'è nessun altro qui, bastardo, angelo caduto, cattivo ragazzo, strizzi l'occhio al diavolo e hai il colletto della camicia ancora sporco di sangue. Ti abbottoni i pantaloni e puoi andare dal giornalaio. Parlano di te. E allora leggi svogliato, bellissimo, al bancone del bar e ti fai fare un altro caffè. Sì, una serata difficile, ma sono cazzi miei. In fin dei conti la tua faccia di merda mi dice che ieri sera ti sei eccitato con un reality e masturbato con un filmetto su una rete privata; ma mica ti vengo a rompere i coglioni per questo. La prima serata è una faccenda personale, anche e soprattutto quando uccido. Tuttalpiù ci posso scherzare un po'. “Facciamo un terzo caffè, và, sono convinto che non mi ucciderà”, ma gli altri non dovrebbero capire e magari si potrebbero spaventare per la mia risata. Magari... Finisse tutto qua... Magari, sarebbe bello se la giornata del signor M. non continuasse. Ma poi c'è il dopo-sbronza, il mal di testa, una coscia di pollo bollita e quella merda di medicine per lo stomaco. E il purè, dimenticavo il purè. Un cazzo di passato di patate lessate. Arriva una ragazza russa, moldava o quel che è a fare le pulizie e ti tratta come una merda. E neanche ti guarda perché sei vecchio. Cinquant'anni e non sei più un uomo che la può scopare. Andrà con il cameriere faccia di merda reality e seghetta. E va bé, è giusto così, stessa ignoranza e nullità. Io posso pretendere qualcosa di meglio dell'immigrata corpicino lungo e secco, coda di cavallo, aria altezzosa, pulisce il mio cesso trattenendo il respiro. Ma le donne del signor M sono sempre svanite velocemente e, adesso, non è buono neanche per la donna delle pulizie. Questo fa male. Questo ti uccide dentro. Magari la giornata finisse al terzo caffè...Ma c'è il quarto, quello dei nipoti che vogliono aprire un'attività investimento sicuro, servirebbe un capitale iniziale, ma, insisto, questo è solo un prestito perché ti ridarò tutto con gli interessi, di me ti puoi fidare. Vaffanculo. C'è il quinto caffè: “Dottore, forse potrei ricominciare a mangiare la carne rossa? Certo, sì, lo so, importante, ci mancherebbe, ma certo, glielo prometto, come posso ringraziarla?, accetti questi, grazie a lei”. E fanculo. Il quinto caffè il signor M lo offre sempre al suo agente di borsa con l'obiettivo di trattenerlo il più a lungo possibile a parlare seduto in quella poltrona tra le mura del suo studio. Lo muove un piacevole sentimento di sicurezza, la convinzione che in quell'oretta il suo ospite non lo possa derubare, che ogni minuto passato in sua compagnia sia un euro risparmiato. E quasi gliela legge negli occhi, al sua broker, la fretta di andare, ah ah! Con fare vittorioso gli fa un'altra domanda e poi un'altra e un'altra; fino a quando non lo vede, lentamente, tirare fuori dalla tasca il cellulare, armeggiare con il grasso pollice e mandare un messaggio. Un ordine è stato inviato, altri soldi di suo padre sono spariti. Fanculo. E poi c'è l'ultimo caffè, quello della solitudine, del ritratto della sua ex moglie, del ricordo dei suoi genitori. Il caffè che non vuole andare giù. Quello che vomiterà al termine della notte, una mano appoggiata al muro più sporco di Parigi, l'altra stretta intorno alla bottiglia di Jameson. Una carta dei tarocchi in tasca, inutile vezzo, la camicia fuori dai pantaloni, cazzo, un po' di sangue ci schizza sempre. E il pensiero al medico che cerca di curare la sua colite ulcerosa. Niente carne rossa. Il suo fisico non riesce a digerirla. Ah ah ah ah ah...fanculo.


...continua...