Di tutte le vicissitudini che mi sono fin'ora capitate questa è di gran lunga la più assurda ed improbabile. Poco tempo fa, mentre mi districavo tra pensieri sul copyright e sull'editoria, suonarono alla porta della mia umile casetta. L'inatteso visitatore si rivelò essere un vecchio monaco amanuense venuto a passare i suoi ultimi inverni presso di me. Colto alla sprovvista non seppi come obiettare a tale pretesa e di lì a poco tempo le mie stanze si riempirono di curvi monaci scriventi. Ora, sebbene io abbia consapevolezza che queste austere figure probabilmente non siano altro che un parto della mia mente, tuttavia mi riterrei ugualmente sgarbato a suggerire loro di tornare nella loro non esistenza. Perciò mi ritrovo, miei cari amici, nella spiacevole situazione di chi per vedere la TV sul divano la sera deve concordare il programma con un'intero monastero.

sabato 27 ottobre 2007

Del perdere l'identità: J.

Ho trovato un quaderno, un diario, dietro le scatole di pasta in dispensa. La discrezione non è mai stata il mio forte, poi forse è anche casa mia. Un'iniziale sul retro copertina: J. Apro una pagina a caso.

Cosa ci sarebbe senza tutto ciò? Se non fossi uno studente di lettere, se non fossi il figlio di mio padre, se non fossi ricco, cosa sarei? Offro champagne alle donne e non riesco a scoparle; loro però escono contente dalla mia stanza. Mi cercano. Sono tenero, divertente. Le faccio sentire importanti. Io sono importante.
La spoglio mentre è ubriaca e la sdraio sul letto: è un'illusione, non saprei come toccarla. Sognerà ciò che non sono. Vorrei farlo anch'io. Humbert drogava il suo piccolo amore per fingere di non possederla, io drogo le mie lolite per poter fingere di amarle.

Ieri è stato bellissimo. Sei stato formidabile”...ho avuto il coraggio di bere direttamente dalla bottiglia, niente di più.
Mi richiamerai?”...lo farò.
Ma sì, almeno tu sii felice. Vai, ti richiamerò, ti offrirò la migliore bottiglia che tu abbia mai bevuto. E ti parlerò di arte, letteratura, scienza, ti parlerò anche dell'amore. Sarò divertente: un genio della conversazione. E' tutto ciò che so fare quello che non vorrei più fare. Si sta per svegliare. Le bacerò la schiena, lei mi bacerà la fronte. Per quel che vale.

-Tesoro...
-Dormivi come un angelo.
-Ma io sono un angelo.
-No, gli angeli non hanno sesso. Te sei una ninfa. Sei stata creata per suscitare amore. O qualcosa del genere.
-E te sei un vero stallone.
-Sì...lo so, un vero stallone.
-Sei stato formidabile questa notte.
-Ti richiamerò?
-Lo spero proprio, siamo stati bene insieme, no?
Jack la aiuta a rivestirsi prima di aprire il cassetto per prendere il portafoglio; vuole fare un regalo a quella ragazza così inutilmente gentile. Scosta la scatola di profilattici ancora sigillata e sfila dal cuoio cinquanta euro.
La mano è stanca, il gesto automatico, ma incompleto. La voce di lei lo ferma e lo desta dal torpore
-Tesoro, quelli non bastano-
Di colpo le costose bottiglie sono vuoti abbandonati, i suoi vestiti puzzano di alcol e la suite è una stanza d'hotel.
Jack sfila un'altra banconota da cinquanta dal portafoglio; la posa tra le cicche della nottata.
-E' tutto quello che ho.
-Non ti puoi più permettere questi piaceri, bello.
-Neanche te, troia.
Bussano alla porta. Un ometto in divisa vuole prostrarsi ai piedi di Jack, ma questa volta lui non glielo permette.
-Mentre ti levi dai coglioni di a quello stronzo fuori che ho appena speso con una puttana tutti i soldi che avevo. Ora sono io che mi posso permettere il lusso di parlargli senza guardarlo negli occhi.

martedì 23 ottobre 2007

"Il classico tipo bello e maledetto, cosa che fa impazzire le donne da che mondo è mondo"

Sveglio per tutta la notte Jack fissa i suoi ricordi, li sfida con lo sguardo, abbassa la testa sconfitto, la rialza, sfida i suoi ricordi, li fissa nello sguardo. Io passeggio inquieto vicino alla finestra che da sulla strada. Laggiù una donna sotto un lampione aspetta uno sguardo; non il mio. Sono tre le sigarette che distanziano la speranza dalla delusione, ma ci vuole un intero pacchetto per smettere di piangere. Giusto il tempo di finirle, le lacrime, o poco più. Poi c'è la nebbia e non sai più se tornerà quel giardino, e non sai più volere che torni. Nella nebbia sono cieco anch'io: non me lo perdono. Non era forse il mio sguardo a farti ancora bella mentre il trucco ti scivolava sul viso? L'aria è densa delle parole che non riesci a dire. “Ehi straniero, credevo non tornassi più. Ho pensato: finalmente glielo hanno storto il collo a quel bastardo”. Parole che sarebbero suonate dolci. Lui ti avrebbe baciato. Anche nella nebbia. Anche senza vederti. Stretta a lui, anche senza più lacrime avresti pianto di felicità.

venerdì 19 ottobre 2007

J.

C'è Deezzle. E poi c'è J. J., un giocatore, baro, avido, testa di cane, figlio di puttana: in gioventù è stato tutto ciò. J. volteggiava il coltello aspettando la volta che lo avrebbe afferrato dalla parte sbagliata. Poteva toccare a lui quella pallottola lasciata cadere dal ponte la sera che fu il primo a sparare . Ma il giocatore sente il momento, lo fiuta; sa quando stare nascosto e quando farsi beccare. J. andava verso la gogna con la sola preoccupazione di essere il profumo del whisky nel puzzo di fumo di qualche pessimo locale. Sarebbe morto per mano dell'unica prostituta che aveva veramente amato; sarebbe morto su un palco, facendo l'occhiolino e dicendo: "ci vediamo...". J. Jack. Le cose non vanno mai come si progettano. Anche quel tuo mazzo truccato aveva un punto debole.

Ancora un colpetto di vento e quel foglio si staccherà e di vento non ne manca oggi, oggi che su quella precaria locandina per la prima volta il bambino vede il volto di Jack Finn: ladro, baro, temuto assassino, domani verrà impiccato nella piazza maggiore, tutti invitati. Quel domani è oggi, ma il bambino non sa leggere e quella locandina presto, presto il vento se la porterà via.

“Che i cuori si strazino davanti al condannato
Oggi il baro va alla morte
Che possa dire di essere stato amato

Oggi vedrete un figlio di Dio impiccato
Un uomo che incontrerà l’amara sorte
Che tu possa piangerlo cuore disperato”


In piazza il bambino non è solo, in piazza c’è la mamma che lo tira per il braccio, c’è un uomo con un cappuccio in testa, ce n’è uno che urla frasi e tutti l’ascoltano, uno che vende noccioline e mele caramellate e uno che chiede l’elemosina, in piazza c’è gente che piange, gente che ride, gente che mangia, gente che per tre soldi si fa fare una foto con il condannato, in piazza c’è il condannato.

“Dannato. Dannato Jack, che la tua anima giaccia all’inferno per mille volte mille anni, finalmente ti hanno beccato, finalmente ti hanno trovato, dannato baro, mi devi la vita e oggi me la darai”

Il sindaco sale ora sul palco; è un ometto basso di statura, vestito in maniera vistosamente elegante con una vecchia fascia sul petto sulla quale si leggono bene le lettere che formano la parola “MAJOR” cucite a mano e un po’ meno bene quelle che formano la parola “Miss Acientville” in trasparenza. Prende la parola:

Signore e signori benvenuti in ciò che è l’orgoglio della nostra piccola ma preziosa cittadina: la piazza maggiore”.

Qualcuno nell’accalcata platea sorride, probabilmente pensando ad un’ipotetica piazza minore, ma Acientville ha una strada, una chiesa, un negozio, una locanda e una piazza, non si sa di cosa ma tutto è maggiore.
Oggi -continua il sindaco- siamo qui per celebrare una vittoria della civiltà sulla barbaria e sulla scostumatezza, oggi, dopo regolare processo, impiccheremo Jack il baro”.

“Dannato. Dannato Jack, non è uno scherzo, lo vuoi capire? Oggi la corda che da sempre hai tirato si stringerà intorno a te e sarà l’ultima volta. Eh già, ma è solo un attimo e a te gli attimi piacciono, tu vai pazzo per gli attimi. Sei un giocatore. Ma questa volta perderai. Lo sai questo? Allora perché ancora ridi?”

Jack non sta ridendo e con faccia greve viene tirato da uno sgherro tramite una corda legata alle sue mani congiunte. Il boia gli appoggia il cappio intorno al collo e si dirige verso la leva per aprire la botola sotto i condannati piedi. Il sindaco alza il braccio, quando l’abbasserà gli farà eco la leva.

“Dannato. Dannato Jack. Paradiso o inferno, questo è ciò che ti meriti, l’eternità. Non ti spaventa? Dovresti piangere in preda alla disperazione, perché ancora ridi? Che serve andarsene con stile? Non sei un salvatore, guardati intorno, niente ladroni, sei solo, non ti stai sacrificando, cazzo! Ma questo lo sai. Sai di non essere nessuno, eppure ridi.”

Il sindaco cerca di vedere l’ora, certe cose van fatte con precisione, ma l’orologio è sul braccio alzato. Si guarda in giro, ma non c’è soccorso, quando tirare giù il braccio? Per certe cose occorre precisione. Una donna urla e piange forte.
A morte, a morte” gridano un gruppo di signore.
No, non fatelo” la donna disperata.
Pianto di bimbi piccoli, una ventata, la precaria locandina si stacca e volteggia tre volte prima di toccare il suolo; il bambino, che non aveva mai distolto gli occhi da essa lo nota con soddisfazione.

Non fatelo vi prego, è innocente, è mio figlio”
A morte” e le voci aumentano “A morte, a morte”, le voci sono un coro funebre: “A morte, a morte, a morte”.
Il braccio cala come una mannaia sulla testa del condannato, il boia osserva il gesto con sottile timore fino a quando i suoi occhi si spostano con solenne compostezza fino alla leva. La leva. La mano stringe forte e poi come morta molla e il boia guarda fisso il sindaco.

Lo so, sì, lascia stare, è colpa mia, scusate, ma questo fatto dell’ora mi ha un po’ distratto. Avrei dovuto mettere l’orologio sull’altro braccio” dice costernato l’ometto guardando la folla come per scusarsi con tutta la cittadinanza.
Eppure questa volta sembrava tutto apposto, c’era il boia, lo sgherro, la folla inferocita e anche la madre. Ci ho messo l’intera giornata per convincerla quella!” dice uno dalle prime file.
E il poeta -aggiunge uno dal fondo- anche il poeta c’era”
Ah, lasciatelo stare quello -sbotta il sindaco come risorgendo dallo sconforto- Cosa vuol dire “che tu possa piangerlo cuore disperato“? Non riesci proprio a mettere insieme due versi solenni?”
E…ci sarebbe anche la cosa delle foto, a me non piace, e un po’ inusuale” interviene radunando tutto il coraggio il giovane tutore della legge.
Si, hai ragione David. Però se vogliamo dirla tutta non è che tu fossi poi particolarmente convincente. Ho visto sgherri ben più feroci” gli risponde un sindaco che ormai aveva ritrovato tutta la sua verve.
Al che tutti i presenti cominciano a commentare nel disordine e fracasso più completo questo nuovo fallimento:

E’ mai possibile che non si riesca neanche ad impiccare un uomo?”
Chi mai dovrebbe mangiare una mela caramellata durante un‘esecuzione?”
Cosa succederebbe allora se fosse innocente?”
E dire che oggi Jack stava andando a morire con uno stile!”
E già! Senza ridere e senza piangere, composto, finalmente perfetto, peccato, davvero peccato, mi dispiace per lui”.
Jack, nessuno aveva osato anche solo rivolgergli lo sguardo dopo l’accaduto. Lui, dal canto suo, appena il boia l’aveva liberato dalla corda, si era inginocchiato e fissando il suolo di legno pensava quasi mormorando:

“Dannato. Dannato Jack. Che ti succede? Non ridi più? Finalmente abbiamo scoperto di cosa hai paura. Hai paura Jack. Hai paura.”

Di colpo quella corda intorno alle mani stringeva in maniera insopportabile.

Che succede Jack? L’avevi trovato divertente ieri? “Guarda questi che buffi”avevi pensato? Ma guardati te, ora, in ginocchio. Sei te che mi fai ridere. Sei te il buffo.”

Jack si stava vistosamente dimenando, urlava e cercava di sciogliere il laccio che gli cingeva le mani.

Un giocatore senza carte, che bel vedere!”

Jack urla, piange e urla, ma in pochi lo notano e ancor in meno si preoccupano. Solo il sindaco prova per un po’ a calmarlo, per poi dare l’ordine a uno sgherro ora molto più convincente di riportarlo in carcere.
“Guarda Jack, non lo vedo bene, che gli sarà successo?” “Boh, speriamo che si riprenda per domani, sarebbe un vero peccato altrimenti”.
La piazza sfolla, un po’ di nebbia scende su Acientville. Il bambino tirato stancamente dalla madre per un braccio è l’ultimo a voltarsi, appena in tempo per notare un uomo appendere un foglio al muro: Jack Finn, ladro, baro, temuto assassino, domani verrà impiccato nella piazza maggiore, tutti invitati.


Trascini il saio da una parte all'altra del giardino con in mano un libro di salmi. Saresti pronto a scommettere che conosci quel libro meglio di chiunque altro. Saresti pronto a scommettere, ma ormai non lo fai più.

lunedì 15 ottobre 2007

D.

Non tutti, ma qualcuno ora riesco a distinguerlo dagli altri. Non tutti, ma qualcuno...
C'è D. per esempio. Non so il suo vero nome, non so come gli altri lo chiamino, ma quando guardo il gruppo riunito sento di poterlo indicare con una buona precisione. D. possiede, nascosta sotto il saio e bloccata da un cordone un po' più stretto del dovuto, una fiaschetta. Se si presta attenzione alla veste di D. quando c'è molto sole si può notare un piccolo rigonfiamento a forma di parallelepipedo sul lato sinistro e un'aderenza eccessiva all'altezza della pancia. Probabilmente D. è anche un po' più grassoccio dei suoi Fratelli. Non deve avere lo stesso stato di forma degli altri perché appena può si siede, tira il fiato, con una mano si sfiora il lato sinistro dell'abito e sospira nuovamente. Ieri l'ho visto allontanarsi dagli altri, sedersi sotto l'abete e tirare fuori dal saio il suo piccolo tesoro. L'ha fissato per una buona mezz'oretta; immobile lui, immobile la fiaschetta. Poi, quando ha sentito dei passi, l'ha messa nuovamente sotto l'abito e si è alzato per salutare il monaco che era venuto a chiamarlo. Ha fatto qualche passo dietro di lui, come per seguirlo verso gli altri, poi si è fermato e con un movimento rapidissimo ha estratto la fiaschetta, ne ha bevuto un goccio e ha rinascosto il tutto senza che il suo compagno notasse niente.
Non ho ancora capito se D. sia più felice o più triste degli altri, solo mi sembra un po' diverso.
Ieri sera, mentre erano tutti inginocchiati in cerchio a pregare, sento un lieve rumore metallico: la fiaschetta era caduta. Vedo D. arrossire, portare la mano sinistra a contatto con il saio deformato e spingere il piccolo recipiente sotto il proprio ginocchio. D. ieri sera è stato l'ultimo a rialzarsi e ad abbandonare la zona di preghiera. E' rimasto lì fino alle prime ore della notte, ben oltre l'orario previsto, ben oltre i suoi compagni.

Questa mattina ho visto D. trascrivere queste parole dai Canti di Leopardi:

Dolcissimo, possente
Dominator di mia profonda mente;
Terribile, ma caro
Dono del ciel; consorte
Ai lugubri miei giorni,
Pensier che innanzi a me si spesso torni.

Non tutti, ma qualcuno ora riesco a distinguerlo dagli altri.

P.S. W la natura!

martedì 9 ottobre 2007

Sull'Edipo. Quando da fallo sono diventato ometto.

Si è parlato di Edipo e di legge del padre. So che siete personcine colte e sapete tutti cos'è il complesso d'Edipo, ma fatemi comunque fare una precisazione su quello che è lo stadio dell'Edipo secondo Lacan.
Riporto dalla garzantina di psicologia:

Abbiamo un'articolazione in tre tempi: nel primo il bambino desidera solo le cure della madre, vuol essere tutto per lei, ovvero il completamento di ciò che le manca: il fallo; nel secondo abbiamo l'intervento del padre che priva il bambino dell'oggeto del suo desiderio e la madre del suo completamento fallico: in questa fase il bambino incontra la Legge del Padre e il suo Interdetto; nel terzo, se il bambino accede al Nome del Padre o metafora paterna che coincide con l'assunzione del padre a livello simbolico, il bambino si identifica con il padre, cessando di "essere" il fallo della madre, per diventare colui che "ha" il fallo; se invece l'interdizione paterna non viene riconosciuta, il bambino, oltre a rimanere identificato con il fallo e sottomesso alla madre, non ragguinge una compiuta autocostituzione della soggettività e una accesso al simbolico.
Sono anche cose utili da tenere presente per quando vi viene dato del ca**one.

domenica 7 ottobre 2007

Gli Altri

Terzo capitolo: dove al protagonista vengono pensieri paranoici che poi vanno via, lasciandolo a riflettere sulla effettiva necessità di uccidere il padre di Edipo.

Lo stratagemma del secondo bagno funziona; questa è già una notizia. La coda si è spostata in giardino e almeno in mattinata la mia casa è totalmente libera. Per di più ho costruito loro fuori un paio di tavoli ed un barbecue, così che il sovraffollamento in casa ora si presenta solamente di notte. Questo mi permette di fare dei piccoli scatti in corridoio, ballare per tutta la casa seminudo con una cassettina di Vasco nel walkman, organizzare un sistema di cartoni rossi che si muovono vicino alle finestre così da far credere agli amanuensi che la casa sia abitata da monaci buddisti o cose simili. I molesti invasori sono diventati inquietanti vicini. Posso osservarli dalle fessure delle tapparelle, posso vedere le loro grasse gamboccie muoversi pesantemente dentro i saii e le loro raggrinzite dita afferrare le erbacce dall'orticello. Hanno trovato degli attrezzi nel gabbiotto. Devo ammettere che la cosa non mi va tanto a genio. Sebbene li stiano usando solamente per migliorare l'aspetto della loro nuova sede, ora , se decidessero di attaccarmi, avrebbero anche le armi per farlo. Già li immagino fuori dalla porta del giardino con fiaccole e forconi a chiedere che il mostro eretico si allontani. Non sono mai stato accolto bene dai vari padri adottivi che mi sono via via andato a cercare nella vita, perché loro dovrebbero farlo? Sono seduti intorno alla tavola ed uno di loro sta consegnando dei pezzi di pane agli altri. Essere tra loro? Non so come sarebbe.
Ricordo però una pagina di appunti che avevo preso non tanto tempo fa mentre leggevo Una nevrosi demoniaca di Freud. Chissà che i monaci non siano qua per rispondere alla mia richiesta di allora?
Vi riporto quello che era il mio pensiero:

Lo stato di eterno lattante: quale ambizione! E quanti tentativi!

Bisognava sostituire mio padre, mortale almeno quanto quello di Edipo, con una figura più autoritaria, non so…qualcuno tipo Dio. Diventare figlio a vita di Dio, niente di più facile pensavo, non è certo personaggio poco paterno. Tuttavia più mi accostavo ai miei futuri fratelli più essi, sospettosi, mi escludevano: io non avevo la vocazione, dicevano. Puff! Comprensibile d’altronde da parte loro voler essere figli unici, avrei fatto lo stesso. Disconosciuto, però, potevo senz’altro rivolgermi al padre dei rinnegati: il diavolo. Papà Satana di certo non mi avrebbe mai abbandonato, avrebbe provveduto a me in ogni momento con gustose tentazioni a cui ovviamente non avrei saputo resistere. Perché non ci avevo pensato prima? D’altronde se dovevo ripercorrere i passi di qualcuno meglio scegliere la strada, diciamo, più divertente del peccato rispetto a quella di astinenza, sacrificio, abnegazione, rinuncia e tutte quelle cose lì che, se proprio si deve, allora vabè, altrimenti… Sarei stato così portato a soddisfare tutti i miei desideri sentendomi autorizzato dal fatto che nell’atto stava già il castigo: la sottomissione. Ne converrete con me che se babbo Lucifero mi costringe a compiere atti ignobili io sono la vittima di essi e non certo il carnefice. Il patto dell’eterno lattante, ahimé, però non credo di averlo mai portato a termine; troppe difficoltà ad utilizzare le mie nevrosi, probabilmente, o forse quella così difficile autonomia, quella conquista della vita, della donna, poi in fondo non mi dispiace tanto. In ogni caso ci sto ancora studiando su, non si sa mai che un nuovo potente papà non venga con una proposta che non posso rifiutare.