C'è Deezzle. E poi c'è J. J., un giocatore, baro, avido, testa di cane, figlio di puttana: in gioventù è stato tutto ciò. J. volteggiava il coltello aspettando la volta che lo avrebbe afferrato dalla parte sbagliata. Poteva toccare a lui quella pallottola lasciata cadere dal ponte la sera che fu il primo a sparare . Ma il giocatore sente il momento, lo fiuta; sa quando stare nascosto e quando farsi beccare. J. andava verso la gogna con la sola preoccupazione di essere il profumo del whisky nel puzzo di fumo di qualche pessimo locale. Sarebbe morto per mano dell'unica prostituta che aveva veramente amato; sarebbe morto su un palco, facendo l'occhiolino e dicendo: "ci vediamo...". J. Jack. Le cose non vanno mai come si progettano. Anche quel tuo mazzo truccato aveva un punto debole.
Ancora un colpetto di vento e quel foglio si staccherà e di vento non ne manca oggi, oggi che su quella precaria locandina per la prima volta il bambino vede il volto di Jack Finn: ladro, baro, temuto assassino, domani verrà impiccato nella piazza maggiore, tutti invitati. Quel domani è oggi, ma il bambino non sa leggere e quella locandina presto, presto il vento se la porterà via.
“Che i cuori si strazino davanti al condannato
Oggi il baro va alla morte
Che possa dire di essere stato amato
Oggi vedrete un figlio di Dio impiccato
Un uomo che incontrerà l’amara sorte
Che tu possa piangerlo cuore disperato”
In piazza il bambino non è solo, in piazza c’è la mamma che lo tira per il braccio, c’è un uomo con un cappuccio in testa, ce n’è uno che urla frasi e tutti l’ascoltano, uno che vende noccioline e mele caramellate e uno che chiede l’elemosina, in piazza c’è gente che piange, gente che ride, gente che mangia, gente che per tre soldi si fa fare una foto con il condannato, in piazza c’è il condannato.
“Dannato. Dannato Jack, che la tua anima giaccia all’inferno per mille volte mille anni, finalmente ti hanno beccato, finalmente ti hanno trovato, dannato baro, mi devi la vita e oggi me la darai”
Il sindaco sale ora sul palco; è un ometto basso di statura, vestito in maniera vistosamente elegante con una vecchia fascia sul petto sulla quale si leggono bene le lettere che formano la parola “MAJOR” cucite a mano e un po’ meno bene quelle che formano la parola “Miss Acientville” in trasparenza. Prende la parola:
“Signore e signori benvenuti in ciò che è l’orgoglio della nostra piccola ma preziosa cittadina: la piazza maggiore”.
Qualcuno nell’accalcata platea sorride, probabilmente pensando ad un’ipotetica piazza minore, ma Acientville ha una strada, una chiesa, un negozio, una locanda e una piazza, non si sa di cosa ma tutto è maggiore.
“Oggi -continua il sindaco- siamo qui per celebrare una vittoria della civiltà sulla barbaria e sulla scostumatezza, oggi, dopo regolare processo, impiccheremo Jack il baro”.
“Dannato. Dannato Jack, non è uno scherzo, lo vuoi capire? Oggi la corda che da sempre hai tirato si stringerà intorno a te e sarà l’ultima volta. Eh già, ma è solo un attimo e a te gli attimi piacciono, tu vai pazzo per gli attimi. Sei un giocatore. Ma questa volta perderai. Lo sai questo? Allora perché ancora ridi?”
Jack non sta ridendo e con faccia greve viene tirato da uno sgherro tramite una corda legata alle sue mani congiunte. Il boia gli appoggia il cappio intorno al collo e si dirige verso la leva per aprire la botola sotto i condannati piedi. Il sindaco alza il braccio, quando l’abbasserà gli farà eco la leva.
“Dannato. Dannato Jack. Paradiso o inferno, questo è ciò che ti meriti, l’eternità. Non ti spaventa? Dovresti piangere in preda alla disperazione, perché ancora ridi? Che serve andarsene con stile? Non sei un salvatore, guardati intorno, niente ladroni, sei solo, non ti stai sacrificando, cazzo! Ma questo lo sai. Sai di non essere nessuno, eppure ridi.”
Il sindaco cerca di vedere l’ora, certe cose van fatte con precisione, ma l’orologio è sul braccio alzato. Si guarda in giro, ma non c’è soccorso, quando tirare giù il braccio? Per certe cose occorre precisione. Una donna urla e piange forte.
“A morte, a morte” gridano un gruppo di signore.
“No, non fatelo” la donna disperata.
Pianto di bimbi piccoli, una ventata, la precaria locandina si stacca e volteggia tre volte prima di toccare il suolo; il bambino, che non aveva mai distolto gli occhi da essa lo nota con soddisfazione.
“Non fatelo vi prego, è innocente, è mio figlio”
“A morte” e le voci aumentano “A morte, a morte”, le voci sono un coro funebre: “A morte, a morte, a morte”.
Il braccio cala come una mannaia sulla testa del condannato, il boia osserva il gesto con sottile timore fino a quando i suoi occhi si spostano con solenne compostezza fino alla leva. La leva. La mano stringe forte e poi come morta molla e il boia guarda fisso il sindaco.
“Lo so, sì, lascia stare, è colpa mia, scusate, ma questo fatto dell’ora mi ha un po’ distratto. Avrei dovuto mettere l’orologio sull’altro braccio” dice costernato l’ometto guardando la folla come per scusarsi con tutta la cittadinanza.
“Eppure questa volta sembrava tutto apposto, c’era il boia, lo sgherro, la folla inferocita e anche la madre. Ci ho messo l’intera giornata per convincerla quella!” dice uno dalle prime file.
“E il poeta -aggiunge uno dal fondo- anche il poeta c’era”
“Ah, lasciatelo stare quello -sbotta il sindaco come risorgendo dallo sconforto- Cosa vuol dire “che tu possa piangerlo cuore disperato“? Non riesci proprio a mettere insieme due versi solenni?”
“E…ci sarebbe anche la cosa delle foto, a me non piace, e un po’ inusuale” interviene radunando tutto il coraggio il giovane tutore della legge.
“Si, hai ragione David. Però se vogliamo dirla tutta non è che tu fossi poi particolarmente convincente. Ho visto sgherri ben più feroci” gli risponde un sindaco che ormai aveva ritrovato tutta la sua verve.
Al che tutti i presenti cominciano a commentare nel disordine e fracasso più completo questo nuovo fallimento:
“E’ mai possibile che non si riesca neanche ad impiccare un uomo?”
“Chi mai dovrebbe mangiare una mela caramellata durante un‘esecuzione?”
“Cosa succederebbe allora se fosse innocente?”
“E dire che oggi Jack stava andando a morire con uno stile!”
“E già! Senza ridere e senza piangere, composto, finalmente perfetto, peccato, davvero peccato, mi dispiace per lui”.
Jack, nessuno aveva osato anche solo rivolgergli lo sguardo dopo l’accaduto. Lui, dal canto suo, appena il boia l’aveva liberato dalla corda, si era inginocchiato e fissando il suolo di legno pensava quasi mormorando:
“Dannato. Dannato Jack. Che ti succede? Non ridi più? Finalmente abbiamo scoperto di cosa hai paura. Hai paura Jack. Hai paura.”
Di colpo quella corda intorno alle mani stringeva in maniera insopportabile.
“Che succede Jack? L’avevi trovato divertente ieri? “Guarda questi che buffi”avevi pensato? Ma guardati te, ora, in ginocchio. Sei te che mi fai ridere. Sei te il buffo.”
Jack si stava vistosamente dimenando, urlava e cercava di sciogliere il laccio che gli cingeva le mani.
“Un giocatore senza carte, che bel vedere!”
Jack urla, piange e urla, ma in pochi lo notano e ancor in meno si preoccupano. Solo il sindaco prova per un po’ a calmarlo, per poi dare l’ordine a uno sgherro ora molto più convincente di riportarlo in carcere.
“Guarda Jack, non lo vedo bene, che gli sarà successo?” “Boh, speriamo che si riprenda per domani, sarebbe un vero peccato altrimenti”.
La piazza sfolla, un po’ di nebbia scende su Acientville. Il bambino tirato stancamente dalla madre per un braccio è l’ultimo a voltarsi, appena in tempo per notare un uomo appendere un foglio al muro: Jack Finn, ladro, baro, temuto assassino, domani verrà impiccato nella piazza maggiore, tutti invitati.
Trascini il saio da una parte all'altra del giardino con in mano un libro di salmi. Saresti pronto a scommettere che conosci quel libro meglio di chiunque altro. Saresti pronto a scommettere, ma ormai non lo fai più.