Di tutte le vicissitudini che mi sono fin'ora capitate questa è di gran lunga la più assurda ed improbabile. Poco tempo fa, mentre mi districavo tra pensieri sul copyright e sull'editoria, suonarono alla porta della mia umile casetta. L'inatteso visitatore si rivelò essere un vecchio monaco amanuense venuto a passare i suoi ultimi inverni presso di me. Colto alla sprovvista non seppi come obiettare a tale pretesa e di lì a poco tempo le mie stanze si riempirono di curvi monaci scriventi. Ora, sebbene io abbia consapevolezza che queste austere figure probabilmente non siano altro che un parto della mia mente, tuttavia mi riterrei ugualmente sgarbato a suggerire loro di tornare nella loro non esistenza. Perciò mi ritrovo, miei cari amici, nella spiacevole situazione di chi per vedere la TV sul divano la sera deve concordare il programma con un'intero monastero.

giovedì 1 aprile 2010

Getsemani


Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Ed
entrato in agonia, pregava più intensamente. Il suo sudore 
divenne come gocce di sangue che cadevano a terra”
 Lc 22,43-44


Non si voltò perché quei passi li conosceva fin troppo bene. Attese per pochi lunghi istanti su quell'umida terra, poi fu raggiunto. L'amico gli si sedette accanto, gambe parallele, ginocchia alte e braccia appoggiate su di esse; un ulivo copriva il cielo ad entrambi.

-Gabriele...-
-Signore.-
-Mi...mi dispiace-
-Di cosa? Di aver voluto fare tutto di testa tua? Di esserti intestardito nel voler mostrare all'uomo un padre troppo debole per essere accettato? O di non essere ancora riuscito a comprendere i tuoi figli?-
Il rabbì chiuse gli occhi per alcuni secondi e nel riaprirli afferrò la tazza di vino che era appoggiata tra due pietre alla sua sinistra. La strinse nelle mani e si perse nell'osservarne il rosso contenuto.
-Di tutto ciò. Ma più di ogni cosa mi dispiace per te, Gabriele. So che sognavi un altro ruolo in questa vicenda. Sarebbe stato bellissimo vederti entrare nel tempio al comando di dodici legioni di angeli. Avresti suonato il corno che annunciava la mia venuta e io, su una nuvola, avrei piegato le gambe di chi mi vuole prendere a calci.-
Bevve due sorsate di quel vino e altrettante ne offrì all'amico. I volti per un attimo si distesero.
-Ci puoi scommettere: lo spettacolo avrebbe lasciato senza parole tutta Gerusalemme. I tuoi discepoli, quelli che ora dormono, sarebbero stati incoronati re tra piogge di polvere celeste e dorate eruzioni dalla terra.-
Risero entrambi immaginando nei particolari l'arrivo del Signore degli Eserciti in Israele, ma presto il volto del rabbì divenne nuovamente scuro. Nel vederlo così l'amico gli mise un braccio sulle spalle e gli chiese: -Vorresti quindi tornare indietro?-

Era la domanda senza risposta.

-Gabriele, abbiamo fatto sogni in comune per più notti di quelle che puoi immaginare. Nel deserto ho capito che tipo di Messia sarei dovuto essere, ma una parte di me non ha mai accettato questa decisione. Ogni volta che mi lasciavo andare ad un miracolo provavo l'ebbrezza del potere e avevo la sensazione di aver oltrepassato quel limite, quel punto di non ritorno. Mi dicevo: “Ho sbagliato. Ho ormai mostrato la potenza del padre, ne saranno per sempre schiavi”. Ma misto al senso di colpa avvertivo piacevoli emozioni. Poi l'uomo dava dimostrazione di cecità e io tiravo un sospiro di sollievo. Mi ricomponevo. Tornavo in me e la mia missione mi riappariva chiara e stupenda. Ma ora...ora che, come te dici, è evidente il mio fallimento, ora che mi rimane solo un ultimo tentativo... Devo rifletterci bene...perché il rischio...il rischio...-
-Il rischio- lo interruppe Gabriele -è quello di creare un popolo di orfani.-

Seguirono lunghi momenti di silenzio nei quali l'angelo poté apprendere la sofferenza del suo Signore. La diapedesi trasformò il sudore del rabbì in sangue gocciolante sulla fredda terra. Era questo un anticipo delle sofferenze della carne che presto avrebbe dovuto subire. Ma di ciò non era preoccupato. Gli insulti a cui sarebbe andato incontro erano parole vuote, le frustate passeggere, la croce una maledizione superstiziosa. Ma il dubbio era atroce. Sanguinava per esso. Sanguinava a causa di esso. Ed era, questo, sangue vero.

Fu Gabriele ad interrompere l'angoscioso stallo. Non resistette alla vista del suo Signore ridotto in quello stato e d'impulso si allungò per afferrare la tazza di vino in terra. Ci si specchiò per un istante: il suo volto era rigato da lacrime. Bevve l'intero contenuto della tazza per cancellare il suo pianto. -Fa che possano bere il tuo sangue. Fa che possano mangiare la tua carne. E vedrai che non sarà stato tutto inutile. Urlerai il tuo nome dalla croce e nessuno potrà fare a meno di sentirlo. Quando tornerai tutti capiranno di essere tuoi figli, comprenderanno che il loro padre li amava fino a dare la vita per loro e tutti si ameranno in ugual maniera. Accudiranno la tua memoria, la faranno crescere ed essa maturerà in tutto il mondo. E soprattutto non avranno più paura di Dio, nessuno più vivrà nell'ombra del proprio senso di colpa perché capirà di essere già stato perdonato, nessuno si sentirà schiavo, tutti capiranno di essere figli voluti, amati, accettati in tutto e per tutto-

Si stesero entrambi sotto l'ulivo, Gesù non pareva totalmente convinto del discorso dell'amico, ma era comunque un po' più sereno: “Ora sembri te quello che non conosce gli uomini. Dovrei farti passare un po' di tempo qua giù, tanto perché tu veda cosa saranno capaci di fare in mio nome. Ma una cosa è vera, se anche una persona sola in tutto il mondo vivrà secondo il tuo augurio, la mia missione non sarà stata un fallimento totale”.