Di tutte le vicissitudini che mi sono fin'ora capitate questa è di gran lunga la più assurda ed improbabile. Poco tempo fa, mentre mi districavo tra pensieri sul copyright e sull'editoria, suonarono alla porta della mia umile casetta. L'inatteso visitatore si rivelò essere un vecchio monaco amanuense venuto a passare i suoi ultimi inverni presso di me. Colto alla sprovvista non seppi come obiettare a tale pretesa e di lì a poco tempo le mie stanze si riempirono di curvi monaci scriventi. Ora, sebbene io abbia consapevolezza che queste austere figure probabilmente non siano altro che un parto della mia mente, tuttavia mi riterrei ugualmente sgarbato a suggerire loro di tornare nella loro non esistenza. Perciò mi ritrovo, miei cari amici, nella spiacevole situazione di chi per vedere la TV sul divano la sera deve concordare il programma con un'intero monastero.

sabato 29 settembre 2007

Slow blog

Sono tutti molto simili tra loro. La lunga barba copre il mento, il largo saio non da molti indizi sulla corporatura e il cappuccio alzato nasconde capelli e fronte. Ciò che distingue un monaco dall'altro è lo sguardo. Si guardano negli occhi per riconoscersi e per comunicare. E' un linguaggio fatto di sottilissimi movimenti di pupille e palpebre che non conosco, non capisco. In quanto psicologo sono abituato a riconoscere il tono della voce, a intuire la comunicazione oltre le parole, ma non riesco proprio a comprendere cosa quegli occhi stiano cercando di dirmi. Ho la sensazione che loro sappiano benissimo di essere reali o meno e il perché sono qua, ciò che non sanno è perché io non li capisco, perché i loro occhi a me sono muti. Li osservo passeggiando per la casa. Ora non ci sono sguardi da decifrare: è notte, stanno dormendo. Ieri, sotto suggerimento di Alexy Yllich Boborsky Zumirhivonov ho costruito in giardino una latrina per i loro bisogni. Avrei voluto farla costruire a loro, forse così avrei avuto un'indicazione in più sulla loro consistenza, ma quando ne ho preso uno in disparte per comunicarglielo mi è mancata la forza. Strano a dirsi, ma ancora una volta mi sentivo sgarbato. Comunque poco male, ciò che conta è che domani mattina tutti gli amanuensi, reali o immaginari che siano, dovrebbero recarsi lì. Abbiamo almeno risolto un problema, il più urgente. Sto risalendo la piramide di Maslow.

Passeggio silenzioso tra loro, attento a non urtarli, verso la cucina; da lì, infatti, proviene il tiepido bagliore che traccia il mio sentiero. Quando giungo vedo un curvo monaco poggiato sul piano adiacente al lavabo. Sta scrivendo su una pergamena, copiando da un libro appoggiato sui fornelli. Il libro è illuminato dalla fievole luce della lampadina destinata al piano cottura, una luce tanto bassa da non disturbare minimamente i suoi compagni addormentati in cucina. Avvicinandomi mi passano per la mente immagini di Fahrenheit 451 e per un attimo sento il desiderio di accendere quei fornelli, forse solo per vedere l'effetto che farebbe sui monaci. Reagirebbero? Andrebbero su tutte le furie? O forse aprirebbero solo gli occhi per qualche istante per poi richiuderli, sereni come se niente fosse successo? Il libro in questione è una copia di La valigia di mio padre, di Orhan Pamuk. Calmo i miei istinti incendiari e decido piuttosto di prendere il mio computer e con pazienza, appoggiato sul piano dall'altra parte dei fornelli, ricopiare anche io qualche passo del saggio in questione. Mettermi nei loro panni dovrebbe aiutarmi a capirli; almeno spero.


[...] Uno scrittore è colui che passa anni alla paziente ricerca dell'essere distinto che porta dentro di sé e del mondo che lo rende la persona che è: quando parlo di scrittura, la prima cosa che mi viene in mente non è un romanzo, una poesia o la tradizione letteraria, ma è una persona che si chiude in una stanza, si siede a un tavolo e si ripiega in se stessa e tra le proprie ombre costruisce un mondo nuovo con le parole. Quest'uomo (o questa donna) può usare la macchina da scrivere, può approfittare dell'aiuto di un computer, oppure può scrivere come me, per trent'anni, con una penna stilografica e mentre scrivo può bere caffè, tè e fumare sigarette. Qualche volta può alzarsi dal tavolo e può guardare fuori, i bambini che giocano per la strada, gli alberi o un panorama, se è fortunato, oppure un muro cieco. Può scrivere poesie, drammi oppure romanzi come me. Tutte queste differenze passano in secondo piano, dopo il vero lavoro, che è quello di sedersi al tavolo e di chiudersi pazientemente in se stessi. Scrivere è trasmettere questo sguardo interiore alle parole, ricercare un nuovo mondo nella propria mente con pazienza, ostinazione e gioia. [...] Secondo me il segreto dello scrittore non sta nell'ispirazione, che arriva da fonti ignote, ma nella sua ostinazione e nella sua pazienza. “Scavare un pozzo con un ago” è un bel modo di dire turco per descrivere il lavoro dello scrittore. [...]

martedì 25 settembre 2007

Un primo approccio

Questa mattina mentre ero in coda per il bagno ho deciso di azzardare un contatto con i miei ospiti. Non so cosa mi abbia spinto; forse è stato lo sconforto quando ho visto che la coda girava anche dentro la cucina, forse la deprivazione di sonno causata dal concerto dell'orchestra russante questa notte o forse più semplicemente in quel momento mi sentivo più legato a loro. Sì, dev'essere stato questo il motivo. Quando si è in coda si è tutti amici, tutti fratelli uniti da un destino ingiusto che ha dato ad altri ciò che ha te non è concesso. "Perché quello dentro può avere water, lavandini, bidè, vasche, mentre noi qua abbiamo solo un rotolo di carta igienica ogni cinque?" chiedo alla nuca del monaco davanti a me. "Ogni cinque, amico, hai capito? Quando ci faremo sentire? Noi qua siamo tanti, lui è uno solo. Sapete cosa vi dico? E' giunto il momento che si invertano i ruoli. Lui qua fuori e noi là dentro a goderci la vescica vuota. Dico bene? Dai! Su! Dico bene?". Non ottenni risposta. Il monaco davanti a me fece un passo in avanti e quello dietro di me aspettò tranquillamente che io facessi il mio. Poi pian piano, passo dopo passo, riuscii nel primo pomeriggio ad andare in bagno. La strada riformista col tempo ha portato i suoi frutti, non lo nego, ma mi chiedo: non si poteva proprio evitare che me la facessi addosso?
Nel pomeriggio un monaco mi diede questa sua trascrizione:

Regola di S. Benedetto

Capitolo VI - L'amore del silenzio: "Facciamo come dice il profeta: "Ho detto: custodirò le mie vie per non peccare con la lingua; ho posto un freno sulla mia bocca, non ho parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone". Se con queste parole egli dimostra che per amore del silenzio bisogna rinunciare anche ai discorsi buoni, quanto più è necessario troncare quelli sconvenienti in vista della pena riserbata al peccato!... Se infatti parlare e insegnare é compito del maestro, il dovere del discepolo è di tacere e ascoltare."

Temo di aver sbagliato approccio...dovrò cambiare strategia.
Si accettano suggerimenti.