Di tutte le vicissitudini che mi sono fin'ora capitate questa è di gran lunga la più assurda ed improbabile. Poco tempo fa, mentre mi districavo tra pensieri sul copyright e sull'editoria, suonarono alla porta della mia umile casetta. L'inatteso visitatore si rivelò essere un vecchio monaco amanuense venuto a passare i suoi ultimi inverni presso di me. Colto alla sprovvista non seppi come obiettare a tale pretesa e di lì a poco tempo le mie stanze si riempirono di curvi monaci scriventi. Ora, sebbene io abbia consapevolezza che queste austere figure probabilmente non siano altro che un parto della mia mente, tuttavia mi riterrei ugualmente sgarbato a suggerire loro di tornare nella loro non esistenza. Perciò mi ritrovo, miei cari amici, nella spiacevole situazione di chi per vedere la TV sul divano la sera deve concordare il programma con un'intero monastero.

mercoledì 12 novembre 2008

Musicale

-Aver della musica nella testa- mi dice N. -è ciò che conta. Le parole nella vita sono un elemento secondario, del tutto superficiale. Cosa di poco conto, giuro. Anche perché, lo sai bene, non ci sono parole giuste o sbagliate, parole felici o tristi, belle o brutte. Ma la musica che ascolti è il racconto della tua vita.-

TANGO GENOVESE

Prego, prima le signore. Un leggero inchino e le guardo il sedere danzare. E il vestito svolazzare, alzarsi, fino alla carne. Appoggio le mani e stringo le dita. Uno schiaffo, la mano si ferma a mezz'aria bloccata dalla mia. Ti amo. Ti odio. Si volta e cammina fino al letto. Non hai i soldi per pagarmi. Come fai a saperlo? Non te lo hanno pubblicato. E' vero. Mastica la cicca con decisione prima di infilarsi due dita in bocca e tirarla fuori. L'attacca sotto il letto. Che schifo! Ti amo anch'io.

Invece lei mi dice che dovrei fare qualcosa in casa ogni tanto, non posso passare tutto il tempo al computer. E mi dice di dimagrire e vorrebbe vedermi più di buon umore. Non esco mai di casa. Mi vesto sempre di nero. Il calcio, il calcio è per gente stupida.

Una spallina le scivola giù per il braccio, il vestito le stringe un seno. Vieni qua. Lo afferro, lo stringo e lei si è di nuovo voltata. Guardami. Non lo fa. Guardami. No. Non ci riesci? Non posso. Sta piangendo. Fino a quando non guadagnerai non ci sarà futuro per noi. E' vero. E' triste.

Invece il martedì ha yoga e il giovedì piscina. Io il lunedì vado a giocare a calcio. Il mercoledì ci vediamo con gli amici e c'è il calcio e lo yoga che ci sono già stati e la piscina che ha da venire. E c'è il weekend in cui dobbiamo decidere cosa si fa e poi farlo o rimandarlo. O non farlo, o sognarlo, o solo raccontarlo o non far neanche quello.

Scosta l'altra spallina, trattiene il respiro, pancia in dentro, e si lascia scivolare il vestito fino alle scarpe. Sono rosse, alte, lucide, belle. E' bello che lei le porti. E' bella lei. Te guadagni, hai un lavoro, non ti devi preoccupare di nulla. Sono io il fallito. Non c'è mai stato un noi. Sono io quello che non ha neanche i soldi per una prostituta. Stupido.


Invece ho 110 di diabete e 150 di colesterolo. Sono dentro i parametri, ma per poco. Ho una forte forma di emicrania, ho una leggera discopatia. Lei è celiaca, intollerante ai latticini, è in dieta, la birra la gonfia. Dovrei tenerlo sotto controllo il diabete, ho dei precedenti in famiglia. Lei me lo ricorda.

Le mutandine le incorniciano il sedere. Le spalle nude, robuste ma infreddolite, tremano leggermente. Voltati, dai. Il trucco le è colato lungo le guance in lacrime nere. Il suo seno, il suo ventre, le sue cosce, ogni centimetro della sua pelle nuda mi eccita. E adoro le sue imperfezioni, punteggiatura di una poesia che altrimenti non riuscirei a leggere. Passo una mano sul mascara colato e lo trascino su tutta la guancia. Premo il pollice sul lato destro della sua bocca e lo passo con forza sulle labbra per toglierle il rossetto. Ora è sbavato anch'esso.

Invece mi chiede se si può tenere le calze, siccome ha sempre freddo ai piedi, se non mi da fastidio, in quel caso, se può, eviterebbe di sentire freddo. Il sesso orale non le piace. Ci sono dei tempi e non è solo troppo presto, può anche essere troppo tardi, e non me lo dice prima. E io non lo capisco. E alla fine ho freddo, forse perché io non ho le calze, forse.

Il suo respiro è caldo e lei si sveglia, subito, non stava dormendo. La osservo nuda, seduta sul letto, una gamba raccolta a sé. Si accende una sigaretta e sento il rumore della carta, del tabacco bruciare. Tutti i miei sensi rivolti a quell'incandescenza, quel lento cammino verso le sue labbra, ancora, avamposto del suo corpo. Il resto scompare nel fumo di quella sigaretta, nella nebbia che entra dalla finestra, nel gesto che giù di sotto il mago ha fatto con il palmo della mano, ad un pubblico distratto, dall'ombra di un bicchiere.


Ma non vorrò mica fumare in stanza, invece, non se ne parla neanche, invece, esco fuori, respiro, al freddo, guardo la notte stellata, respiro, al freddo, io respiro.

Lei esce, mi raggiunge con la mia giacca tra le mani e me la posa sulle spalle, poi mi abbraccia forte, appoggia la testa sulla mia schiena e sussurra: “Scusami, se qualche volta faccio qualcosa di sbagliato”.

Io sono uno stupido.

"Ma la musica che ascolti è il racconto della tua vita. E a volte andrebbe cambiata."

giovedì 11 settembre 2008

Un nuovo buco nero nelle mie fantasie

E' successo qualcosa in questo blog.
Nel mondo della mia fantasia un paio di scienziati pazzi hanno sbagliato esperimento e l'intero mondo, quello della mia fantasia, è stato distrutto. Nelle mie fantasie, di sogni si parla, tutto in pochi secondi scompare per lasciare spazio ad altro o a niente. E il sogno mi culla, mi fa sorridere e quasi quasi osare sperare...che veramente, che se si avverasse...
La vita è una cosa meravigliosa, certo, bellissima, e niente di meglio potrei immaginare. Niente tranne la sua assenza, la sua totale assenza.
Perché della mietitrice tutto ho sempre temuto tranne la falce. Non mi spaventa il suo sguardo, ma non sopporterei vederla da lontano. Ho paura di vedere il suo tocco sui miei parenti e amici. Mi dispiacerebbe molto, al contrario, lasciarli qui a piangere la mia perdita. Non vorrei provare dolore fisico, mai, specialmente se prolungato. E poi c'è altro: temo anche di abbandonare persone che appena mi conoscono e forse anche i luoghi, ho paura della mia stanza vuota. Questo è l'incubo, sono solo alcune note a piè di pagina di un contratto che tengo sulla scrivania. La penna tra le mani è leggera e luccicante. Se solo riuscissi a firmare...
Accidenti! Non sono mai riuscito a cancellare questa pagina dai miei “preferiti”. Accidenti! Da qualche parte ho ancora quei salvataggi di “Oblivion”. Accidenti! E' fuori dalla mia portata il coraggio per firmare un contratto del genere. E il sogno rimane un miraggio. Si allontana dal mio desiderio e sono costretto a dirlo: “Neanche così vorrei morire”. Ma se succedesse, se qualcuno firmasse senza leggere, bé, come dire?, di certo non obbietterei.

E' successo qualcosa in questo blog, ma, ahimè, nessun buco nero ha ancora avvolto il web. Ciò che è successo è che la pagina è rimasta vuota, le poche persone che c'erano sono sparite e io sono sparito per loro. Direi che a parte la completa assenza di dolore fisico (niente scosse, nessuno schermo che mi si chiude sulle dita) le note a piè di pagina sono state ampiamente disattese. Male.

sabato 19 aprile 2008

Polvere alla polvere /3

Un giorno ti svegli di buono umore, sei giovane, hai tutta la vita davanti. Pensi: chi se ne fotte di tutti, di tutte, chi se ne fotte. Poi la giornata scorre liscia, magnifica, dei cazzo di binari, perché ti va veramente tutto bene e sorridi, sorridi che è un piacere. E' perfetto, voglio che la mia vita duri per sempre e voglio mostrare al mondo che sono degli stupidi, tutti, piccola gente, davvero. Apro verso le cinque l'armadietto dei liquori in cerca di un porto e ci trovo solo del Sandeman. Ed ecco l'occasione per dimostrare quanto è semplice la vita. Mi vesto, riempo il portafoglio dalla cassaforte, prendo la macchina, ci butto dentro il navigatore e parto. Al primo autogrill panino e guardo il tizio dietro il bancone dall'alto in basso: te non sai cosa sto facendo. Scrivere sul navigatore “Porto, Portogallo” è poi un orgasmo, cazzo, tutto perfetto: tre giorni di viaggio andata e tre giorni ritorno. “E' un po' che non ti si vede” “Eh sì, sai, avevo voglia di un buon bicchiere di porto e sono andato in Portogallo”. La vita potrebbe anche finire qui. Ma per il signor M., abbiamo ormai imparato, c'è il dopo. A volte gli sembrava di essere una di quelle commedie Hollywoodiane con un primo tempo tutto battute e gag brillanti e un secondo tempo pieno di noia, moralismi, trama già vista e finale da spararsi nei coglioni. C'è il secondo tempo, quello delle tre casse di Rozes caricate in macchina e tenute ad invecchiare per vent'anni. “Così quando avrò ospiti di riguardo saprò cosa offrire loro”. Era vent'anni fa, il maggiordomo sorrideva felice e sembrava che tutto potesse andare nel modo migliore. Vent'anni... Erano tutti giovani, tutti futuri poeti. Il signor M leggeva Rimbaud, Matteo era nato da poco e quel signore che gli sta puntando la pistola alla nuca si diplomava con il massimo dei voti in legge. Ora, ora è sufficiente recarsi in cantina, tirare un'occhiata a quelle due casse, ancora chiuse, ancora, mai sistemate negli scaffali, e quelle bottiglie, quella polvere...

- E' il richiamo della polvere. Non ci può fare niente, ci chiama e un giorno lei deciderà di seguirlo. Nel mentre può smettere di tremare, sta rovesciando il porto-
-Oh, mi scusi, è molto buono, io...-
-Lasci stare. Mi dica piuttosto dove si nasconde-
Ingente quantità di denaro...Genova...tunica...buffo, chiacchiere.
-Ma lo vada ad eliminare, lo faccia lei, io non me la sento, in quella città ho fin troppi ricordi. Verrà ricompensato a dovere, a tempo debito, a lavoro fatto, più in là. Quando Jack sarà morto lei avrà i suoi soldi-
-Ma io...veramente...io...-
-Lei?-
-Io non posso...-
-Non è mia abitudine far svolgere il lavoro ad altri, come lei forse saprà. Provo un certo piacere nel tagliare la gola a chi parla troppo. Mi piace proprio, sa? Godo. Mi viene così duro che poi mi devo masturbare davanti al corpo morente del malcapitato. Faccio una piccola incisione al centro, nella trachea, e il sangue esce lentamente. Ha mai visto una persona con le corde vocali recise provare ad urlare per chiedere disperatamente aiuto? E' uno spettacolo, glielo assicuro. “Ghhhh! Ghhhh!” Urla bastardo! Chiedimi di smetterla! Chiedimi perdono! Urla! “Ghhhh! Ghhhh!”. Ah ah ah ah! Senza la voce un uomo non è niente. Si è mai chiesto perché soffriamo nell'ascoltare il lamento di un uccellino ferito e non proviamo nessun moto di compassione nel vedere un pesce squartato vivo? Senza la voce una donna non è più niente!”-

Cade il bicchiere dalle mani tremolanti del suo interlocutore. I vetri schizzano in tutte le direzioni e una macchia di porto si allarga sul tappeto rotondo sotto i loro piedi.


-Mi dia una cassa del vostro miglior porto. Anzi, facciamo due. No, al diavolo, me ne dia tre. Oggi è una gran giornata e voglio che venga ricordata a lungo.-

giovedì 3 aprile 2008

Polvere alla polvere /2

E c'è anche da tenere presente che lui, il signor M, questa vita, in fin dei conti, non l'ha mai voluta fare. E ti capita anche di svegliarti stanco, distrutto, ubriaco, la sera prima, neanche la ricordo. Ti capita, trascini le gambe fino allo specchio in bagno e cerchi di mettere a fuoco. Hai la camicia del giorno prima, la barba da fare. E ti piaci: bello, dannato. Sì, ce l'ho con te, non c'è nessun altro qui, bastardo, angelo caduto, cattivo ragazzo, strizzi l'occhio al diavolo e hai il colletto della camicia ancora sporco di sangue. Ti abbottoni i pantaloni e puoi andare dal giornalaio. Parlano di te. E allora leggi svogliato, bellissimo, al bancone del bar e ti fai fare un altro caffè. Sì, una serata difficile, ma sono cazzi miei. In fin dei conti la tua faccia di merda mi dice che ieri sera ti sei eccitato con un reality e masturbato con un filmetto su una rete privata; ma mica ti vengo a rompere i coglioni per questo. La prima serata è una faccenda personale, anche e soprattutto quando uccido. Tuttalpiù ci posso scherzare un po'. “Facciamo un terzo caffè, và, sono convinto che non mi ucciderà”, ma gli altri non dovrebbero capire e magari si potrebbero spaventare per la mia risata. Magari... Finisse tutto qua... Magari, sarebbe bello se la giornata del signor M. non continuasse. Ma poi c'è il dopo-sbronza, il mal di testa, una coscia di pollo bollita e quella merda di medicine per lo stomaco. E il purè, dimenticavo il purè. Un cazzo di passato di patate lessate. Arriva una ragazza russa, moldava o quel che è a fare le pulizie e ti tratta come una merda. E neanche ti guarda perché sei vecchio. Cinquant'anni e non sei più un uomo che la può scopare. Andrà con il cameriere faccia di merda reality e seghetta. E va bé, è giusto così, stessa ignoranza e nullità. Io posso pretendere qualcosa di meglio dell'immigrata corpicino lungo e secco, coda di cavallo, aria altezzosa, pulisce il mio cesso trattenendo il respiro. Ma le donne del signor M sono sempre svanite velocemente e, adesso, non è buono neanche per la donna delle pulizie. Questo fa male. Questo ti uccide dentro. Magari la giornata finisse al terzo caffè...Ma c'è il quarto, quello dei nipoti che vogliono aprire un'attività investimento sicuro, servirebbe un capitale iniziale, ma, insisto, questo è solo un prestito perché ti ridarò tutto con gli interessi, di me ti puoi fidare. Vaffanculo. C'è il quinto caffè: “Dottore, forse potrei ricominciare a mangiare la carne rossa? Certo, sì, lo so, importante, ci mancherebbe, ma certo, glielo prometto, come posso ringraziarla?, accetti questi, grazie a lei”. E fanculo. Il quinto caffè il signor M lo offre sempre al suo agente di borsa con l'obiettivo di trattenerlo il più a lungo possibile a parlare seduto in quella poltrona tra le mura del suo studio. Lo muove un piacevole sentimento di sicurezza, la convinzione che in quell'oretta il suo ospite non lo possa derubare, che ogni minuto passato in sua compagnia sia un euro risparmiato. E quasi gliela legge negli occhi, al sua broker, la fretta di andare, ah ah! Con fare vittorioso gli fa un'altra domanda e poi un'altra e un'altra; fino a quando non lo vede, lentamente, tirare fuori dalla tasca il cellulare, armeggiare con il grasso pollice e mandare un messaggio. Un ordine è stato inviato, altri soldi di suo padre sono spariti. Fanculo. E poi c'è l'ultimo caffè, quello della solitudine, del ritratto della sua ex moglie, del ricordo dei suoi genitori. Il caffè che non vuole andare giù. Quello che vomiterà al termine della notte, una mano appoggiata al muro più sporco di Parigi, l'altra stretta intorno alla bottiglia di Jameson. Una carta dei tarocchi in tasca, inutile vezzo, la camicia fuori dai pantaloni, cazzo, un po' di sangue ci schizza sempre. E il pensiero al medico che cerca di curare la sua colite ulcerosa. Niente carne rossa. Il suo fisico non riesce a digerirla. Ah ah ah ah ah...fanculo.


...continua...

giovedì 27 marzo 2008

Polvere alla polvere

-Signor M, questo Porto è davvero eccezionale.-
-Sono lieto che gliene sia rimasto.-
-Posso...Sono venuto...Si ricorda? Mi aveva chiamato per...-
-Proceda, si sbrighi.-
-Ho raccolto tutti i dati che mi ha chiesto. Un lavoro scrupoloso. Quantomai preciso. Non avevo molto da cui partire, ma non mi sono perso d'animo. Ho chiesto in giro, ho fatto circolare le foto. Ho mosso tutti i miei informatori.-
Due sedie d'epoca, un tavolino pezzo d'antiquariato, la sale, grande, quadri. Porto d'annata. Una rarità.
-Posso offrirle un po' di Rozes? E' invecchiato 25 anni.-
-La ringrazio, ma non bevo, non posso, sa...noi non...-
-Oh sì, lei beve. Non mi fido della gente che non beve.-
-Se è così....-
-Non trova che il nostro rapporto debba essere incentrato sulla fiducia?-
-Assolutamente. D'altra parte, signore, non credo di averle mai dato motivo per sospettare di me.-
Un camino acceso. E la luce sul suo volto austero. Triste, stanco. Ma ancora vivo, nonostante tutto, nonostante debba sopportare ancora visite.
-Le persone che hanno tradito una volta tendono a rifarlo. E' una droga: la paura di essere scoperti. Lei si ciba di questo terrore perché le dà consapevolezza, coscienza che un giorno tutti moriremo. Sa bene che tradirmi sarebbe una mossa stupida, ma, lo sente? E' il richiamo della polvere. Non ci può fare niente, ci chiama e un giorno lei deciderà di seguirlo. Nel mentre può smettere di tremare; sta rovesciando il Porto-
Il tappeto ritaglia la stanza. In un fazzoletto della loro esistenza si guardano due uomini che non vedono l'ora di voltarsi.
-Ho dovuto anche impiegare una ingente quantità di denaro, ma alla fine sono riuscito a scoprire dove si nasconde. Genova, chi l'avrebbe mai detto, buffo. Non lo trova buffo?-

Qua si può tagliare e possiamo inserire l'immagine di me inginocchiato, una pistola puntata alla nuca. Sto contando per l'ennesima volta i tre denti sul pavimento. Chi l'avrebbe mai detto che si staccassero con questa facilità? Sposto velocemente la lingua in cerca delle cavità vuote incurante delle urla alle mie spalle. Non riesco a pensare ad altro, mi pare già abbastanza grossa questa cosa dei denti. Voglio dire: mica si riattaccheranno, no? Tre.
-Dimmi dove è andato. Che fine ha fatto? Dimmelo se non vuoi ritrovarti una pallottola nel cervello-
Ora noi si potrebbe anche ritornare al signor M. e all'ometto titubante, che, per inciso, da quando mi preme quella cosa fredda sulla nuca pare aver cambiato carattere. Ora potremmo tornare alla stanza col camino. Buffo Genova, vieni al dunque, ho indossato la tunica e sono entrato in quella specie di comune dove si nascondeva. Possiamo tornare a quegli istanti, ma questo non aiuterebbe né me né voi a rispondere alle domande che sembrano interessare al tizio dietro di me. Chi sia e perché stia cercando Jack voi potete chiedervelo, ma io no, perché quando hai una pistola puntata alla testa le domande non le fai te.

continua...

mercoledì 16 gennaio 2008

Convivenza

-Ehm...ehm...non saprei...vediamo...-
Strabuzzo gli occhi in due gigantesche palle bianche cercando di vedere il più attentamente possibile lo schermo colorato del televisore.
-vediamo...-
Sento tutto il mio corpo sprofondare nel divano. Sono un po' più pesante io e un po' più debole lui.
-secondo me...se proprio mi devo sbilanciare...-
Mi suda la mano che tengo stretta alla cornetta del telefono. Sono del tutto impreparato, non avrei dovuto chiamare.
-direi...- ormai è fatta -direi che il barattolo contiene trecentoquarantotto monaci amanuensi-
Tutti stivati stretti stretti. Piccoli monaci con piccoli scrittoi, piccoli papiri e piccoli calamai. Trecentoquarantotto, forse qualcuno in più, forse qualcuno in meno. Quelli più esterni scrivendo urtano con minuscoli gomiti le pareti di vetro del barattolo facendolo oscillare leggermente. Per un attimo mi assale il terrore che il tutto cada dal tavolino che lo ospita infrangendosi sul pavimento e facendo uscire tutti i monaci. Trecentoquarantotto piccoli corpicini imbizzarriti che vagano su e giù per lo studio, uno stuolo di assistenti di regia zelanti a rincorrerli.
-Lei solitamente è una persona attenta?- mi chiedono contemporaneamente telefono e televisore.
-Sì, abbastanza, insomma, nella media-
-Non credo proprio, non credo proprio- incalza la voce ora ostile -Lei non è una persona che si preoccupa dei fatti che succedono nel mondo, vero?-
-A volte seguo i telegiornali, ma non sempre ho tempo, ci sono...-
-Ah! Dicevo bene. Lei si disinteressa delle cose del mondo. Lei era troppo impegnato a farsi i fatti propri per ascoltare la telefonata prima della sua-
-In effetti...ho...ho acceso la...-
-Eh no! Non trovi scuse, lo ammetta: lei è un cazzo di egoista di merda.-
-E' che...-
-Cos'è lei?-
-Io...-
-Cos'è lei?-
-Io...-
-Lei?-
-Io...sono un po' egoista-
-Ah! E ora che lo ha ammesso le posso dire che non possono essere trecentoquarantotto, perché trecentoquarantotto, caro il mio “che cazzo me ne frega della vostra trasmissione”, era il numero che aveva ipotizzato il concorrente prima di lei. Ora chieda scusa a tutto il pubblico che ha perso tempo dietro ai suoi vaneggiamenti ed entri nel barattolo.-
-Cosa?-
-Entri subito nel barattolo!-
Eravamo, nella conclusione del mio sogno, in trecentocinquantuno e ognuno aveva un piccolo scrittoio, un piccolo papiro ed un piccolo calamaio.
-Credo di avervi un po' trascurato negli ultimi tempi- dissi a bassa voce a Jack e agli altri appena sveglio -mi dispiace, non avrei dovuto-
Non ottenni risposta, ma non mi stupii.


domenica 13 gennaio 2008

Come passa il tempo...


Quasi due mesi che non vi do notizie dei miei monaci....

Quasi tre mesi che la fontana di Trevi non stupisce più con nuovi colori....

Pare che il mondo abbia riacquistato l'abituale grigiore.

Ma non disperate.

Presto il blog riaprirà i battenti.